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mercoledì 22 giugno 2016

Ce lo diranno i potentati finanziari.

Brexit e TTIP, un azzardo storico pensarli?

L’inghilterra lascia l’Unione Europea?
Si sta trattando proprio di questo in tutte le televisioni e sui giornali con interviste che ipotizzano le conseguenze ad un si o ad un no al “brexit
Intanto poco si commenta la scelta della Svizzera che, prima interessata, ha recentemente informato che non intende più entrare nell’UE.
Le due dimensioni non sono un caso.
Non è un caso l’“euro” perché l’Inghilterra non lo ha adottato come è rimasta estranea all’accordo di Schengen.
Il denaro dentro il sistema politico dell’Unione Europea, potrebbe non avere più lo stesso valore. Di certo non di natura etica.
Ma cosa sta maturando nel frattempo?
Nella prima settimana di giugno, i potenti della terra riuniti nel più esclusivo club Bilderberg, di cui poco sappiamo, avrebbero discusso a Dresda il TTIP, l’accordo di libero scambio tra Ue e Usa la cui portata è storica.
Cos’è il TTIP?
L’acronimo di  Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato che, se sottoscritto, consentirà il libero scambio, niente dazi e regole,  di beni e servizi tra Stati Uniti e Unione Europea, partners  per il commercio transatlantico ed investimenti.
Le multinazionali, con il commercio transnazionale, controllerebbero il 50% circa del pil mondiale, stante il dato registrato dal  World Economic Forum. Il che non è certo poco: altri equilibri rispetto agli attuali.
Ma qualcosa non torna sul trattato che, da quanto trapela, avvantaggerebbe le multinazionali e le imprese transnazionali: le loro decisioni non sarebbero contestabili dai singoli Stati mentre al contrario gli eventuali interventi legislativi assunti dal singolo Stato potrebbero essere contestati  citando in giudizio i governi attraverso un tribunale offshore.
Dunque un potentato economico che condizionerebbe le politiche.
Molti i governi d’accordo, nonostante i punti deboli.
L’Inghilterra fuori dall’Eu sarebbe dentro il sistema transnazionale del TTIP?
Per rispondere dovremmo conoscere  le condizioni in cui verrebbero negoziati gli accordi, i tempi e le modalità. 
Il testa a testa tra “remain” e “leave” è un incrocio storico. La scelta è tra un sistema e l’altro.
E per l’Europa?

Nell’immediato le conseguenze sono ovvie. Lo sottolinea Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica di Milano  quando sostiene che comunque gli altri Paesi europei hanno imparato la lezione inglese: contrattare con l’Europa per ottenere più vantaggi è possibile. 
Questo indicherebbe che l’euro potrebbe essere già il primo criterio in discussione. 

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