Brexit e TTIP, un azzardo storico
pensarli?
L’inghilterra lascia l’Unione Europea?
Si sta trattando proprio di questo
in tutte le televisioni e sui giornali con interviste che ipotizzano le
conseguenze ad un si o ad un no al “brexit”
Intanto poco si commenta la scelta
della Svizzera che, prima interessata, ha recentemente informato che non
intende più entrare nell’UE.
Non è un caso l’“euro” perché
l’Inghilterra non lo ha adottato come è rimasta estranea all’accordo
di Schengen.
Il denaro dentro il sistema politico
dell’Unione Europea, potrebbe non avere più lo stesso valore. Di certo non di natura etica.
Ma cosa sta maturando nel frattempo?
Nella prima settimana di giugno, i potenti della terra riuniti
nel più esclusivo club Bilderberg, di cui poco sappiamo, avrebbero
discusso a Dresda il TTIP, l’accordo di libero scambio tra Ue e Usa la cui
portata è storica.
Cos’è il TTIP?
L’acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato che, se
sottoscritto, consentirà il libero scambio, niente dazi e regole, di beni e servizi tra Stati Uniti e Unione
Europea, partners
per il commercio transatlantico ed
investimenti.
Le multinazionali, con il commercio
transnazionale, controllerebbero il 50% circa del pil mondiale, stante il dato
registrato dal World Economic Forum. Il che non è certo poco: altri equilibri rispetto
agli attuali.
Ma qualcosa non torna sul trattato
che, da quanto trapela, avvantaggerebbe le multinazionali e le imprese
transnazionali: le loro decisioni non sarebbero contestabili dai singoli Stati
mentre al contrario gli eventuali interventi legislativi assunti dal singolo Stato
potrebbero essere contestati citando
in giudizio i governi attraverso un tribunale offshore.
Dunque un potentato economico che
condizionerebbe le politiche.
Molti i governi d’accordo,
nonostante i punti deboli.
L’Inghilterra fuori dall’Eu sarebbe
dentro il sistema transnazionale del TTIP?
Per rispondere dovremmo conoscere le condizioni
in cui verrebbero negoziati gli accordi, i tempi e le modalità.
Il
testa a testa tra “remain” e “leave” è un incrocio storico. La scelta è tra un
sistema e l’altro.
E
per l’Europa?
Nell’immediato
le conseguenze sono ovvie.
Lo
sottolinea Vittorio Emanuele Parsi,
direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri)
dell’Università Cattolica di Milano quando sostiene che comunque gli altri Paesi europei
hanno imparato la lezione inglese: contrattare con l’Europa per ottenere più
vantaggi è possibile.
Questo indicherebbe che l’euro potrebbe essere già il primo criterio in
discussione.
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