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venerdì 17 giugno 2016

Un viaggio costretto che nessuno mai dovrebbe fare, una compassione che non si dovrebb ricevere.

Limes ha pubblicato la mappa di Laura Canali che da esperta in cartografia geopolitica ha disegnato i principali flussi migratori che avvengono più per via terra che per mare. 
Il dato preoccupante è che dallo 0,8% di stranieri in Italia, registrato nel 1990 si è passati all’8,3% di oggi. Occorre  fare una riflessione: cosa si fa per evitare questi viaggi di fuga dai propri paesi?
L’aumento delle percentuali sta ad indicare che non ci sono stati interventi risolutori nei paesi di origine? 
Perché aumentano così tanto senza alcuna altra soluzione?
Si tratta di più di 5 milioni di stranieri, stanziati in particolare in Lombardia, Emilia Romagna, Umbria, Lazio e Toscana, con una media in Italia più alta che negli altri paesi europei. 
Privi di documenti identificativi, perché non devono ottenere dai propri paesi d’origine i documenti di viaggio?
Difficile rispondere perché non si tratta di risposte umane ma politiche e non solo nazionali. 
I costi attuali sono pesanti e generano confusioni sociali, rischi di una falsa integrazione, come falsa appare l’accoglienza riconducibile a criteri economici di dubbia equità, a differenziazioni alquanto discutibili tra queste persone e le persone italiane altrettanto sofferenti ma annullate come fossero meno drammatiche perché l’italiano è a casa sua anche se a casa sua soffre di più, o tanto quanto, i disagi ed i drammi della emarginazione e della morte. 
Eppure sotto il profilo umanitario trattiamo di più il fenomeno migratorio di quanti lasciano la propria società, non sempre si stabiliscono nella nuova o sono di transito, si spostano per motivi economici, sono irregolare. Sopravvivono ma succede che spesso perdiamo di vista la sopravvivenza degli italiani che hanno bisogno. 
Si tratta di garanzie di dignità che la vita dovrebbe offrire a stranieri come agli stessi italiani, e non certo di razzismo, termine spesso malamente abusato. 
Ci emozioniamo e giustamente ma non può essere l’emozione a dettare le regole come non può essere la compassione a generare l’accoglienza a tutti i costi. Quale garanzia?
Italiani indigenti e poveri, disoccupati e fuori casa, come extracomunitari, tra immigrati e rifugiati, sfollati, richiedenti asilo, profughi, ciascuno rappresenta un pezzo di storia, non solo contemporanea, non solo personale.  Tante le vicende ed i drammi per quella sola vita che a ciascuno è data e non in eterno. E questo vale per tutti dietro ai numeri che la Caritas richiama nel suo rapporto annuale sull’Italia o dietro i flussi migratori tra sbarchi, transiti via terra e soglie che la cronaca riporta! 
Quelli sono viaggi che nessuno dovrebbe affrontare ma il peggio è che, inseguendo l’effetto del dramma migratorio di chi è costretto a lasciare il proprio paese per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppi o opinioni politiche, ne spezzettiamo le cause talmente da perdere il senso di un intervento politico, europeo o internazionale, possibile in quei paesi
Questo è il nodo, che almeno dal 1990 peggiora, non gli effetti.
Ed alla fine non garantiamo più nemmeno la dignità sociale, credendo di dovere costruire moschee mentre le chiese crollano, di dovere indossare veli, di dovere nascondere crocifissi, di doverli candidare alla guida della politica nazionale italiana al posto di italiani, fino, addirittura, a ipotizzare di avere bisogno di stranieri per fare figli o per ottenere voti. E se qualcuno sostiene che qualcosa non funziona nelle logiche dei numeri proporzionabili all’accoglienza ed al lavoro, alle case, alla sicurezza ed all’igiene, subito lo si addita piuttosto come loro nemico. 
Eppure qui di inimicizia non ne trovo e non trovo nemmeno ragionate politiche per interrompere i business dei viaggi irregolari e consentire a ciascuno di potere restare nelle proprie terre.

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