L’Italia è un paese semplice da
leggere a condizione di viverci. Sì, perché se lo guardi da fuori e vuoi capire
come funziona diventa un impresa titanica.
Per esempio se vuoi sapere
economicamente come è messo non puoi fare a meno di guardare alle due grandi
famiglie che producono denaro.
Una strettissima minoranza è costituita
dalle grandi famiglie che si sono accaparrate il capitale, nei tempi in cui
questo era possibile, e adesso i loro discendenti
lo usano per, in accordo con
la finanza internazionale, influenzare scelte economiche e politiche.
Poi c’è la larghissima maggioranza
che a sua volta si divide tra dipendenti, a loro volta pubblici e privati, e
imprenditori. Tutti subiscono le scelte
della minoranza capitalista.
Chi ha vissuto nel secolo scorso sa
che una sottile competizione contrapponeva i dipendenti, con reddito fisso ma
sicuro, agli imprenditori. I primi costretti a lavorare per pagare cambiali e
mutui dei beni ottenuti subito ma pagati nel tempo. I secondi che, a seconda
degli incassi prodotti, si potevano permettere di ostentare un maggior agio con
la prima e la seconda auto così come per la prima e seconda casa.
Una leggera invidia per decenni ha
contrapposto le due categorie.
Qui entra in gioco la politica che,
per ottenerne il consenso, ha cominciato a legiferare guardando non al bene
della Nazione ma agli interessi dei singoli gruppi di consenso. Allora via a
dare tutele e benefici sempre più ampi ai dipendenti pubblici in termini di
stipendi, avanzamenti di carriere, benefit per essi e per i loro familiari in
una lotta al rialzo che ha visto un intero pentapartito esposto in promesse
mirabolanti.
Si creò così un primo grande blocco
di debito pubblico: la politica dava ai dipendenti pubblici più di quanto ne
otteneva in tasse e tariffe.
Per i dipendenti privati tutto era
legato alla produttività d’impresa e alla correttezza degli imprenditori che li
assumevano.
Ma c’erano le grandi industrie
nazionali che assorbivano un grandissimo numero di operai ed impiegati e
garantivano il benessere generale.
Agli imprenditori, se piccoli, la
politica dava aiuto in termini di credito e tolleranza sui debiti fiscali. Se grandi
dava finanziamenti a fondo perduto e tassi di interesse bassissimi, quando c’era
la lira e l’inflazione.
Ma tutti, dico tutti avevano il loro
referente nella figura che ha retto economicamente il Paese: il direttore di banca.
Che tu fossi impiegato o operaio, imprenditore
o artigiano, professionista o industriale i dieci minuti dal direttore, nella
sua stanza, sortivano sempre un piccolo o grande risultato in ordine alla crisi
di liquidità che si presentava. Uno scoperto di cassa, un finanziamento o lo
sconto di una cambiale ti aiutava a superare il momento di crisi.
E il debito pubblico cresceva. Arrivò
tangentopoli e con essa la rottura, per emersione, di quell’intreccio che
legava, finanziariamente, i politici ai finanziamenti pubblici sulle opere o i
servizi dati in appalto alle imprese. Si scoprì, addirittura, che in base alla
grandezza del partito, di maggioranza come di minoranza, variava l’entità della
percentuale di ritorno al sistema dei partiti.
L’azione pervicace di magistrati e
suggeritori internazionali azzerò un intera classe politica.
Allora quella piccola classe cui
accennavo prima, i capitalisti, decisero in ambito europeo che bisognava
garantire il debito che la nazione e i suoi cittadini avevano contratto. Arrivò
Basilea per frenare le scelte del direttore
di banca: occorreva profilare tutti piccoli e grandi richiedenti denaro. Si
inventò il rating per il quale uno è meritorio di credito ed uno no. E per chi
non pagava nei tempi concordati arrivò il CRIF: un grande libro nero dove se
sei iscritto puoi dire addio alla macchinina pagata a rate. Era il 1988 quando
nacque il primo accordo tra i 10, allora, più grossi paesi che mise un freno ai
crediti facili delle banche in Europa. Chiaro che la politica dovesse mettere
in campo una risposta. Erano tanti i gruppi finanziari che sostenevano
legittimamente con contributi pubblici e illegittimamente con tangenti occulte
il sistema dei partiti ed a loro occorreva dare una risposta. Che arrivò con la legge Amato-Carli del 1990.
Nascevano le fondazioni bancarie. Questa legge ha permesso alle banche italiane che
erano istituti di credito di diritto di trasformarsi da una parte in società
per azioni e dall'altra di generare delle fondazioni a cui sono state
trasferite tutte quelle attività non tipiche dell'impresa.
Quindi, contrariamente alle attese, le
fondazioni diventano con piccoli capitali le sedi di riferimento e decisione
per ogni banca collegata. E la politica pensate che restasse fuori? No
certamente. Una ricerca del 2013 vedeva lobby di ex politici e faccendieri
sedere sulle poltrone dei consigli di amministrazione di ogni fondazione che
avendo i partiti di riferimento, da un lato garantivano posti di sotto governo
ai politici trombati nelle elezioni precedenti e dall’altro si garantivano
referenti per avere accesso al credito per se e per i propri maggiorenti presso
la banca di riferimento della fondazione.
Abbiamo allora che su 24 consiglieri del MPS 14
sono politici. Alla Cariplo 5 su 9, alla Cassamarca 6 su 12 e via di questo
passo per tutte le fondazioni esaminate.
Succedeva così che il piccolo imprenditore non
rientrando nei parametri di Basilea 1, che poi diventò Basilea 2 e 3, non
poteva accedere al credito ma il grosso imprenditore ammanigliato alla
politica, sottratto alla valutazione del semplice direttore, otteneva ai piani
alti dell’istituto quanto necessario. Non avendo credito, prima gli imprenditori
e poi artigiani, impiegati e operai si sono visti scippare il referente
bancario fin li conosciuto: il direttore.
Ma le cose si complicano con la nascita delle finanziarie. Il denaro che il
direttore nega per mancanza di requisiti, magicamente, compare se prestato da
una finanziaria che è collegata alla stessa banca. E via all’indebitamento con
finanziamenti, carte revolving e credito al consumo. Che poi gli interessi
siano il triplo o il quadruplo di quelli bancari, questo è argomento che
meriterebbe ulteriore approfondimento.
Ma la stretta creditizia, a questo punto, è
frutto di una congiuntura internazionale o di un piano studiato a tavolino
dalla finanza internazionale? Non immettere flussi finanziari sul mercato, a
parte gli sforzi di Draghi che vanno tutti tesaurizzati dalle grosse banche a
favore delle continue sottocapitalizzazioni, è la cura o la malattia del
sistema Italia e più in generale del sistema Europa? Non potere ricorrere alla
svalutazione controllata è stato un bene o la mannaia per l’economia italiana?
Carlo Mocera
Nulla di particolare Emoticon wink la figura del direttore ( salvo pochissimi casi, allora scelta per professionalità e capacità di relazionarsi col prossimo) doveva rispondere alle direttive della gestione del credito dettate Banca d'Italia che lo descriveva come "rappresentante" dell'Istituto di credito e come determinante per la crescita sociale ed economica del territorio governato.
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