Lo Statuto dei Lavoratori ( L.N. 300/1970 ) per
trentacinque anni ha dato una garanzia al lavoratore: se ti licenziano sarà un
giudice a stabilire se è giusto il licenziamento.
Questo si è applicato alle imprese con più di
quindici dipendenti e ha escluso la maggior parte delle imprese artigiane
italiane che sono di pochi dipendenti.
Con la scusa della crisi e per favorire negli
intenti i disoccupati e nei fatti le imprese l’odierno decreto legislativo, n° 23/2015, ha
stabilito che se c’è un licenziamento deve esserci un risarcimento per il
lavoratore. Ma il licenziamento resta. Vero è che si applica ai nuovi assunti
ma se per esempio un impresa con i nuovi assunti raggiunge il limite previsto
dal vecchio art. 18 allora vecchi e nuovi assunti, per effetto dell’art.1 comma
3 della nuova legge, possono essere licenziati con un semplice risarcimento.
Il
governo ha rassicurato che la normativa interesserà il solo settore privato ma
una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24157 del 2015, ha
stabilito che lo Statuto dei lavoratori, così come riformato dalla legge
Fornero, si applica anche al pubblico impiego contrattualizzato. Quindi ai dipendenti statali e locali. Restano esclusi professori, militari e
magistrati.
Se
aggiungiamo l’utilizzo furbo dei voucher che sta drogando il mercato del lavoro
e cannibalizzando i residui diritti dei lavoratori ( vedi precedente articolo http://carlomocera.blogspot.it/2016/04/lavoro-poco-ma-chiacchiere-tante.html ) e
analizziamo l’utilizzo del precariato nel settore pubblico che va avanti con
rinnovi continui in special modo al sud, dove abbiamo piante organiche che sono
costituite per il 70/80 % di questi salariati senza contributi e diritti
riconosciuti ai loro colleghi, allora si avrà un quadro più chiaro di cosa,
quest’anno, potremo festeggiare per il primo maggio: la demagogia.
La
demagogia di far finta di creare le condizioni per nuovi assunti con
decontribuzioni che stanno creando un buco di bilancio nell’Inps e lo
spostamento nel tempo dello stesso problema.
La
demagogia dell’inventare un programma “Garanzia Giovani” che è solo un modo di,
per qualche mese, salariare dei giovani per evitare che realizzino il loro
destino e si incazzino mentre Confindustria gongola sapendo che si tratta di “Garanzia
Imprese”.
La
demagogia di una classe dirigente che di fronte a una crisi senza precedenti, a
continui licenziamenti e chiusura di realtà industriali, allo spostamento di
cicli di produzione di imprese che prima hanno vampirizzato risorse destinate
ai disoccupati e poi hanno delocalizzato sotto gli occhi inebetiti del
legislatore, di fronte ai suicidi di imprenditori vessati e posti nella scelta
di pagare gli operai o sostenere l’allegra combriccola dei legislatori non
hanno avuto dubbi e sono diventati mira di Equitalia.
La
demagogia esibita nei talk-show dove conduttori malandrini invece di fare le
domande che il popolo si fa nei bar e nei mercati continuano a domandare se la
colpa è ascrivibile alla classe politica precedente o alla congiuntura
internazionale.
La
demagogia dell’utilizzo dei media come vetrina dei più furbi, affabulatori,
belli o saccenti che marginalizza quanti, e sono presenti in parlamento,
avrebbero qualcosa da proporre ma vengono zittiti dall’esclusione del circo
mediatico e, in Italia, se non hai diritto di tribuna non esisti.
La
demagogia dell’utilizzo di argomenti distraesti su barconi, migranti e guerre
medio orientali analizzati all’infinito e sotto ogni profilo che danno si un
idea di chi sta peggio di noi, ma ci mandano a letto non solo digiuni ma anche
con i sensi di colpa.
Mentre
loro poi si ritrovano in feste e happening dove non c’è sinistra o destra ma
solo chi fotte e chi è fottuto.
Questo
festeggeremo il Primo Maggio, la festa dell’ipocrisia.
Carlo
Mocera
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